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Transumanza
In Maremma siam condotti
Ognun pensi per sé
E Iddio per tutti
(Detto popolare toscano)
Per millenni i pastori della penisola hanno avuto l’abitudine di portare le greggi di ovini a svernare sui litorali dove il clima era più mite. I pastori partivano alla fine di settembre e tornavano nel mese di maggio dell’anno successivo. In Toscana i pastori svernavano in Maremma provenendo dalla Garfagnana, dalla Montagna Pistoiese, dal Mugello, dal Casentino e dal monte Amiata, ma venivano anche dall’Emilia, dalla Romagna, dall’Umbria e anche dalle Marche. Il viaggio richiedeva da 7 a 15 giorni, ma non crediate però che si trattasse di un viaggio improvvisato e senza regole. Fino dal 1300 la Repubblica di Siena, sotto la cui giurisdizione ricadeva la Maremma, aveva posto delle precise regole che trovarono una più compiuta regolamentazione nello Statuto della Dogana dei Paschi Maremmani del 1419, successivamente modificati nel 1572 dopo l’annessione di Siena al Granducato di Toscana. In pratica funzionava così: il pastore doveva presentarsi alla Dogana della propria residenza (es. Firenze) e farsi rilasciare la “bulletta” che era il permesso di transumanza col proprio bestiame pagando una cifra stabilita per ogni capo, attraverso percorsi precisi (i proprietari dei terreni lungo il cammino non vedevano di buon occhio la transumanza per i danni che recava) per arrivare ai “capi” di entrata in Maremma che erano tre: Cinigiano, Montemassi e Paganico. Qui i capi venivano contati con una procedura detta “calla”, per il rilascio della “fida” con cui si anticipava il prezzo del pascolo che veniva poi saldato a maggio dell’anno successivo. Le greggi venivano riunite in gruppi detti “masserie” a capo delle quali stava il “vergaio”, capo e responsabile dal quale dipendevano tutti: i pastori che avevano gregge proprio o affidato in “soccida” da terzi, i “biscini” cioè i ragazzini che si preoccupavano di radunare le bestie e i “butteri” che si occupavano dei cavalli per il trasporto e delle vettovaglie. Nel luogo prescelto venivano preparate le “vergherie”, capaci capanne di legno e fascine con un’apertura al centro per far uscire il fumo del fuoco del pentolone usato per preparare il formaggio, ed i “diacci” per il ricovero degli animali. Il pascolo vero e proprio costituiva la “dogana” che aveva un suo statuto particolare: il prodotto del terreno (erba, foglie, ghiande ecc..) era di proprietà dello stato, anche se il terreno era privato, facevano eccezione le “bandite” che erano di esclusivo uso delle comunità locali. I proventi derivanti dalle dogane erano cospicui ed erano raccolti dalla Dogana dei Paschi di Siena che per la gestione finanziaria si avvaleva della banca del Monte Pio esistente dal 1472, che dal 1624 assunse il nome di Monte dei Paschi di Siena.
La vita del pastore, inutile dirlo, era dura: portare al pascolo il bestiame, al mattino, mangiare un pasto frugale in compagnia dei cani e dei biscini portandosi sempre dietro un capace ombrello di incerato, mungere il latte al pomeriggio e poi preparare immediatamente il formaggio (altrimenti andava tutto a male). La cena era il pasto principale: spesso pane, formaggio, acquacotta (zuppa di verdura di campo con l’uovo) e acqua per bere, consumata da tutti nella capanna intorno al fuoco con alle pareti le “rapazzuole” su cui si dormiva. Talvolta il vergaio, che era il più “letterato” di tutti (doveva per il suo ruolo saper leggere e scrivere e far di conto), recitava versi della Divina Commedia o dell’Orlando Furioso, si cantavano stornelli si fumava il sigaro toscano e si andava a letto presto per ricominciare il giorno dopo. Non si conoscevano feste o ferie, il pastore però aveva la facoltà di vendere esentasse i propri prodotti ai mercati dei paesi vicini per cui fare il pastore rendeva relativamente bene, diciamo che economicamente un pastore guadagnava molto più di un contadino o di un artigiano, ma il sacrificio era enorme.
In Maremma c’era allora la malaria e il timore di contrarre la malattia era grande, come testimonia la famosa canzone popolare datata intorno al 1800:
Tutti mi dicon Maremma, Maremma,
ed a me pare una Maremma amara.
L'uccello che ci va perde la penna,
io ci ho perduto una persona cara.
Sia maledetta Maremma, Maremma,
sia maledetta Maremma e chi l'ama.
Sempre mi trema il cor quando ci vai
perchè ho paura che non torni mai.
Gli improperi contro la Maremma si sprecavano, in Toscana si sente ancora esclamare: maremmacane, maremmadiavola, maremmamaiala. Solo a maggio il pastore poteva riabbracciare i propri cari per la breve estate montanara (le nascite nei paesi erano concentrate tutte a febbraio-marzo, chissà perché…). Nel 1778 la gabella di transito fu abolita dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, la transumanza continuò fino a dopo la seconda guerra mondiale, poi con l’uso dei mezzi di trasporto per l’approvvigionamento del foraggio anche d’inverno, la diffusione dei mezzi di refrigerazione e non ultima la Riforma Fondiaria del 1950, la transumanza cessò per rimanere solo a livello locale.
Vicino a Greve in Chianti c’è una località chiamata il Passo dei Pecorai, perché lì confluivano i pastori provenienti dal Mugello, dal Casentino e dalla Romagna per avviarsi in Maremma. La cache è nascosta sul tracciato della vecchia via Chiantigiana.
The transhumance had been for thousands years the seasonal movement of the sheperds with their livestock coming from the mountains of Tuscany to the seaside zone of Maremma, now no more practised. The cache has been placed on the one of old tracks of the Maremma transhumance.
Additional Hints
(Decrypt)
Fbggb yr cvrger. Haqre gur fgbarf.